Oggi questa lettera, della quale francamente non avrebbe dovuto essercene nemmeno bisogno, farà probabilmente scandalo in larga parte del mondo politico.
Siamo messi bene!
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Il Ministro delle Infrastrutture
al Presidente del Consiglio dei Ministri
On.le Prof. Romano PRODI
e, p.c., al Ministro della giustizia
On.le Prof. Romano PRODI
al Ministro dell’interno
on. prof. Giuliano AMATO
al Ministro degli affari regionali
on. Linda LANZILLOTTA
OGGETTO: Sospensione dalla carica di Presidente della Regione Siciliana dell’On.le
Salvatore Cuffaro.
come Ti è noto, il 18 gennaio scorso il Tribunale di Palermo ha pronunciato sentenza
di condanna per favoreggiamento e rivelazione di segreto nei confronti del Presidente della
Regione siciliana.
I fatti addebitati al Presidente Cuffaro ed accertati dal Tribunale con la sentenza di
primo grado, emergono nella loro estrema gravità, non solo per come attestato dalla pesante
pena irrogata (cinque anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici), ma
soprattutto in quanto si tratta di comportamenti di favoreggiamento e rivelazione di segreto
d’ufficio su indagini riguardanti affiliati mafiosi.
Al riguardo mi preme sottolineare due ordini di considerazioni.
In primo luogo, la condivisione sulle modalità per intervenire sulla vicenda, facendo
puntuale applicazione di quanto già l’ordinamento vigente impone. Infatti, al riguardo,
l’articolo 15, comma 4-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, prevede la sospensione di
diritto, anche in caso di condanna non definitiva, tra gli altri, per ipotesi di delitti di
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favoreggiamento personale o reale, commesso in relazione ai delitti indicati nel comma 1,
lett. a) dello stesso articolo 15. Nel novero di tali reati figura, tra gli altri, quello previsto
dall’articolo 416-bis del codice penale, e cioè quello di associazione di tipo mafioso. Dagli
atti risulta che la condotta di favoreggiamento posta in essere dall’on.le Cuffaro è stata
riconosciuta dal Tribunale, sebbene in forma non specificamente aggravata, in favore di
affiliati alla predetta associazione, e pertanto comunque “in relazione” allo stesso titolo di
delitto, come espressamente richiede la disposizione normativa in esame.
Peraltro, anche la sopravvenuta abrogazione del citato articolo 55 ad opera
dell’articolo 274 del testo unico degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267, ne ha comunque mantenuto salda la vigenza quanto ai (tra gli altri) consiglieri
regionali, come prevede il citato articolo 274, comma 1, lett. p).
Come è noto, il percorso istituzionale prevede, ai sensi dell’articolo 15, comma 4-ter
della legge n. 55 del 1990, che proprio il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il
Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell’interno, adotta il provvedimento che accerta
la sospensione. Tale esito, come è evidente, discende, per fatti di gravità così gravemente
acclarata, dall’esigenza di garantire, nelle more dell’accertamento giudiziale definitivo, la
tutela dell’interesse pubblico, leso dalla permanenza in carica e dallo svolgimento delle
relative funzioni istituzionali da un soggetto rispetto al quale è stato accertato il venir meno
di un requisito essenziale per continuare a ricoprire un ufficio pubblico elettivo.
Ma, soprattutto, mi preme mettere in evidenza una seconda considerazione.
Come Ministro della Repubblica, e soprattutto come cittadino, sono sconcertato dalla
reazione che ha caratterizzato il comportamento del Presidente della Regione Sicilia rispetto
alla sentenza che lo ha condannato e che, a chiunque abbia dignità e rispetto verso le
istituzioni, avrebbe dovuto suggerire soltanto di prendere la decisione di dimettersi e farsi da
parte per tutelare sopra ogni altra esigenza la necessità che le istituzioni pubbliche al cui
servizio esclusivo ciascuno dovrebbe operare, non rimangano anche indirettamente o
minimamente turbate o pregiudicate nella loro credibilità di fronte alla collettività da fatti di
tale estrema gravità.
Ritengo, pertanto, che il Governo non possa rimanere inerte rispetto alla vicenda in
questione e che sia indispensabile l’adozione di misure concrete, in conformità a quanto
previsto dall’ordinamento, volte ad assicurare il primato della legge ed il pieno rispetto del
principio di legalità, restituendo, in tal modo, credibilità ed autorevolezza alle istituzioni
dello Stato.
3
Non solo, in questa vicenda, emerge l’esigenza di dare integrale attuazione a quanto
già prevede l’ordinamento, come segnalato. Quanto soprattutto risulta impossibile non
provvedere con la massima urgenza.
Si tratta di un adempimento doveroso, per il rispetto che tutti dobbiamo alle istituzioni
e alla legge. Ma, ancora prima, per il debito morale che ancora dobbiamo saldare con le tante,
troppe vittime della mafia e con i loro congiunti, testimoni perenni di come l’impegno etico
e civile sul quale è costruita la nostra speranza di convivenza ordinata, capace di non
arretrare neppure di fronte al sacrificio più estremo e alla violenza più odiosa, non può certo
tollerare per un solo giorno ancora un’ombra così inquietante su istituzioni talmente
prestigiose.
Mai come in questa vicenda l’esigenza di fare, e far presto, costituisce la doverosa
forma di adempimento della legge che deve distinguere una classe dirigente degna di questo
appellativo da una solo ipocrita e meschina.
Sono convinto che non sei sordo a queste esigenze, e in maniera condivisa sapremo
esprimerne la risposta più convinta e degna del rispetto che anche così si deve a chi ha
preferito sacrificarsi alla mafia, più che rivelarle segreti d’ufficio.
Antonio Di Pietro
Il Ministro delle Infrastrutture
al Presidente del Consiglio dei Ministri
On.le Prof. Romano PRODI
e, p.c., al Ministro della giustizia
On.le Prof. Romano PRODI
al Ministro dell’interno
on. prof. Giuliano AMATO
al Ministro degli affari regionali
on. Linda LANZILLOTTA
OGGETTO: Sospensione dalla carica di Presidente della Regione Siciliana dell’On.le
Salvatore Cuffaro.
come Ti è noto, il 18 gennaio scorso il Tribunale di Palermo ha pronunciato sentenza
di condanna per favoreggiamento e rivelazione di segreto nei confronti del Presidente della
Regione siciliana.
I fatti addebitati al Presidente Cuffaro ed accertati dal Tribunale con la sentenza di
primo grado, emergono nella loro estrema gravità, non solo per come attestato dalla pesante
pena irrogata (cinque anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici), ma
soprattutto in quanto si tratta di comportamenti di favoreggiamento e rivelazione di segreto
d’ufficio su indagini riguardanti affiliati mafiosi.
Al riguardo mi preme sottolineare due ordini di considerazioni.
In primo luogo, la condivisione sulle modalità per intervenire sulla vicenda, facendo
puntuale applicazione di quanto già l’ordinamento vigente impone. Infatti, al riguardo,
l’articolo 15, comma 4-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, prevede la sospensione di
diritto, anche in caso di condanna non definitiva, tra gli altri, per ipotesi di delitti di
2
favoreggiamento personale o reale, commesso in relazione ai delitti indicati nel comma 1,
lett. a) dello stesso articolo 15. Nel novero di tali reati figura, tra gli altri, quello previsto
dall’articolo 416-bis del codice penale, e cioè quello di associazione di tipo mafioso. Dagli
atti risulta che la condotta di favoreggiamento posta in essere dall’on.le Cuffaro è stata
riconosciuta dal Tribunale, sebbene in forma non specificamente aggravata, in favore di
affiliati alla predetta associazione, e pertanto comunque “in relazione” allo stesso titolo di
delitto, come espressamente richiede la disposizione normativa in esame.
Peraltro, anche la sopravvenuta abrogazione del citato articolo 55 ad opera
dell’articolo 274 del testo unico degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267, ne ha comunque mantenuto salda la vigenza quanto ai (tra gli altri) consiglieri
regionali, come prevede il citato articolo 274, comma 1, lett. p).
Come è noto, il percorso istituzionale prevede, ai sensi dell’articolo 15, comma 4-ter
della legge n. 55 del 1990, che proprio il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il
Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell’interno, adotta il provvedimento che accerta
la sospensione. Tale esito, come è evidente, discende, per fatti di gravità così gravemente
acclarata, dall’esigenza di garantire, nelle more dell’accertamento giudiziale definitivo, la
tutela dell’interesse pubblico, leso dalla permanenza in carica e dallo svolgimento delle
relative funzioni istituzionali da un soggetto rispetto al quale è stato accertato il venir meno
di un requisito essenziale per continuare a ricoprire un ufficio pubblico elettivo.
Ma, soprattutto, mi preme mettere in evidenza una seconda considerazione.
Come Ministro della Repubblica, e soprattutto come cittadino, sono sconcertato dalla
reazione che ha caratterizzato il comportamento del Presidente della Regione Sicilia rispetto
alla sentenza che lo ha condannato e che, a chiunque abbia dignità e rispetto verso le
istituzioni, avrebbe dovuto suggerire soltanto di prendere la decisione di dimettersi e farsi da
parte per tutelare sopra ogni altra esigenza la necessità che le istituzioni pubbliche al cui
servizio esclusivo ciascuno dovrebbe operare, non rimangano anche indirettamente o
minimamente turbate o pregiudicate nella loro credibilità di fronte alla collettività da fatti di
tale estrema gravità.
Ritengo, pertanto, che il Governo non possa rimanere inerte rispetto alla vicenda in
questione e che sia indispensabile l’adozione di misure concrete, in conformità a quanto
previsto dall’ordinamento, volte ad assicurare il primato della legge ed il pieno rispetto del
principio di legalità, restituendo, in tal modo, credibilità ed autorevolezza alle istituzioni
dello Stato.
3
Non solo, in questa vicenda, emerge l’esigenza di dare integrale attuazione a quanto
già prevede l’ordinamento, come segnalato. Quanto soprattutto risulta impossibile non
provvedere con la massima urgenza.
Si tratta di un adempimento doveroso, per il rispetto che tutti dobbiamo alle istituzioni
e alla legge. Ma, ancora prima, per il debito morale che ancora dobbiamo saldare con le tante,
troppe vittime della mafia e con i loro congiunti, testimoni perenni di come l’impegno etico
e civile sul quale è costruita la nostra speranza di convivenza ordinata, capace di non
arretrare neppure di fronte al sacrificio più estremo e alla violenza più odiosa, non può certo
tollerare per un solo giorno ancora un’ombra così inquietante su istituzioni talmente
prestigiose.
Mai come in questa vicenda l’esigenza di fare, e far presto, costituisce la doverosa
forma di adempimento della legge che deve distinguere una classe dirigente degna di questo
appellativo da una solo ipocrita e meschina.
Sono convinto che non sei sordo a queste esigenze, e in maniera condivisa sapremo
esprimerne la risposta più convinta e degna del rispetto che anche così si deve a chi ha
preferito sacrificarsi alla mafia, più che rivelarle segreti d’ufficio.
Antonio Di Pietro
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